Io di solito non vado a Napoli: "torno" a Napoli. Fatto curioso per chi, come me - napoletano solo di origine - non vi ha mai vissuto con continuità, pur conoscendola fin all'ultimo sassolino in virtù di una casa a Ischia e di soggiorni più o meno lunghi per svariati motivi.
E come ogni napoletano che si rispetti, parlo il dialetto, conosco la cultura partenopea e cucino in ossequio alla tradizione. Ma soprattutto – in quanto napoletano “all’estero” - arrivano momenti nei quali mi assale un impulso irrefrenabile di reimmergermi in quell'atmosfera.
E così, complice la stanchezza e la voglia di concedermi un po' di relax, un giovedì di marzo decido di andare a trascorrere tre giorni a Ischia, in quello che considero il mio eremo dell'anima, in quel periodo di transizione fra inverno e primavera in cui i colori sono più intensi, il mare e il cielo sono separati dall'orizzonte e la sera da casa mia si vedono le luci della funivia del Vesuvio. Uno dei momenti più belli.
Arrivo alla stazione Centrale intorno alle sette di sera, e per prima cosa compro "Il Mattino", per vedere gli orari dei collegamenti marittimi con le isole. Mia moglie una volta mi ha domandato perché non "Repubblica", visto che anche nell'edizione napoletana sono riportati quotidianamente gli orari. Beh, ma perché è tradizione: da oltre quarant'anni compriamo "Il Mattino" per gli orari, il giorno che arriviamo e il giorno che ripartiamo.
C'è un traghetto che parte da lì a venti minuti. Se mi sbrigo ce la faccio, e così vado verso il parcheggio dei taxi.
E qui apro una piccola parentesi: a Roma Termini si formano file mostruose, smaltite - si fa per dire - da pochissimi taxi che arrivano ogni tanto, dispensati con la parsimonia di un dono divino; la scarsità di licenze è uno dei tanti drammi romani.
A Milano si formano file ordinate, che si esauriscono con un flusso regolare di vetture che si incolonnano disciplinatamente.
A Napoli ci sono solitamente un centinaio di macchine, disposte come un ammasso informe di lamiere bianche, con gli autisti più attenti a non farsi fregare la corsa dai colleghi che alla gente che arriva. Che nonostante l'ampia disponibilità riesce ad essere indisciplinatissima creando una situazione di intralcio permanente.
Alla fine riesco a conquistare una macchina, un autentico pezzo da museo: una fiat 125, domata da un vecchio tassista con una faccia segaligna ma simpatica.
"Dove vi porto signo'?"
"Al Molo Beverello... Ce la facciamo in venti minuti?"
"
E mo' verimm'... A che ora c'avete il
mezzo?"
Evito una fin troppo facile ironia, e pazientemente gli dico l'orario di partenza.
"Ma il biglietto lo
tenete?" mi chiede, come se dovessi imbarcarmi sul Queen Elizabeth.
"No, lo faccio a bordo"
E così, con insospettata grinta (del tassista, ma anche della macchina) ci lanciamo nel traffico di piazza Garibaldi. Dopo aver rischiato un frontale con un autobus e di travolgere due pedoni e un motociclista, imbocchiamo la corsia dei mezzi pubblici del Rettifilo (Corso Umberto il vero nome, un viale dritto che collega la stazione Centrale a piazza Municipio, il porto). E lì ci ritroviamo di fronte a una massa informe di lucine di posizione che invadono qualsiasi cosa. Fermi.
"E questa è la solita storia, dotto'... A Napoli le corsie sono preferenziali perché le
preferiscono tutti quanti." mi dice sconsolato il tassista. Mi trattengo a stento dal ridere, perché non voglio che si rilassi e mi faccia perdere il traghetto. Ma di fronte all'ineluttabilità di quel casino biblico, lui si rilassa lo stesso, e per passare il tempo attacca con le domande.
"
Ma vuie nun site napulitano...", esordisce. Io non ho fattezze propriamente scandinave, ma evidentemente il fatto di non abitare a Napoli incide sulla fronte di chiunque un marchio indelebile, visibile soprattutto a tassisti e commercianti.
"I miei genitori lo sono. Io sono nato a Roma, e quand'ero piccolo ci siamo trasferiti a Milano. I miei fratelli sono nati lì... E adesso abito nuovamente a Roma, dove mi sono anche sposato"
"Ah... e come mai non siete rimasto a Napoli?". Avrei voluto dirgli che ci siamo trasferiti nel '59, quando avevo tre anni, e che a quell'età è un po' difficile decidere in autonomia. Ma ha una faccia simpatica, e così, pazientemente, gli spiego che mio padre è avvocato, e grazie a un suo caro amico ha cominciato ad avere sempre più clienti a Milano, etc. etc. A un certo punto mi interrompe e mi fa una domanda, anzi, "la domanda" per eccellenza:
"Ma voi a che squadra
tenete?"
"A nessuna. Il calcio non mi interessa."
"Manco a vostro padre? E ai vostri fratelli?"
"Mio padre è del Napoli" dico, evitando pietosamente ogni commento sulla situazione attuale dell'A.C. Napoli, "i miei fratelli sono invece milanisti sfegatati"
"Ah... E non si vergognano?
O' milàn è pure 'e chillu fetente 'e Perluscone..."
"Non credo. Ma se volete glielo domando, e la prossima volta che vengo a Napoli ve lo dico..."
Siamo quasi a Piazza della Borsa, e ormai mancano cinque minuti alla partenza. E i cinquecento metri che ci separano dal porto sono completamente intasati. Alla fine sbuchiamo in Piazza Municipio. Giriamo su due ruote attorno alle aiuole spartitraffico, ed entriamo come una fucilata nel Molo Beverello: niente da fare. Il traghetto si sta dirigendo di gran carriera verso l'imboccatura.
"Dotto' mi dispiace..." mi dice mortificato il simpatico vecchietto, come se sentisse sulle proprie spalle tutta la responsabilità del casino cronico del traffico napoletano.
"E voi che colpa ne avete... Non vi preoccupate"
Guardo il tassametro: 6 euro e 80, una miseria.
"Vabbè, portatemi a Mergellina, fra un'ora c'è l'ultimo aliscafo. Prenderò quello."
"E come no, dotto'! immediatamente!" mi risponde rinfrancato e tutto contento di prolungare la corsa.
Mentre rientriamo sulla piazza, mi viene in mente che mia moglie mi ha intimato di portarle una scatola di cioccolato di Gay Odin, un'antica e famosa cioccolateria napoletana, pena il lasciarmi fuori casa...
"Sentite, ce la facciamo a passare a via Toledo da Gay Odin?"
"E certo che ce la facciamo!"
E così siamo nuovamente nel traffico. Nel giro di dieci minuti siamo in Piazza Carità. Lo faccio aspettare lì, poiché via Toledo è quasi interamente isola pedonale. Altri dieci minuti per andare al negozio, scegliere una bella confezione di cioccolatini assortiti, e tornare al taxi.
Ripartiamo, e arriviamo in pochi minuti in Piazza Vittoria. Dove è tutto bloccato.
"Dotto' non vi preoccupate. Manca mezz'ora e siamo quasi arrivati."
Dopo un quarto d'ora abbiamo fatto cinquanta metri, e io invece comincio a preoccuparmi, nonostante l'ottimismo del tassista. Finalmente, all'altezza di San Pasquale la strada si libera. Gli ultimi cinquecento metri li facciamo rischiando l'arresto, e finalmente ci fermiamo in via Caracciolo, davanti all’imbarco degli aliscafi per Ischia. Sono le 20 e 18, tre minuti dopo l'orario di partenza. E' ormai annottato, e attraverso la struttura e i tendoni del pontile non riesco a vedere se l'aliscafo è ancora attraccato. Metto 25 euro in mano allo stupefatto vecchietto, e mi precipito verso l'imbarco.
L'aliscafo ha già la prua verso il mare aperto e si sta avvicinando all'imboccatura. Mentre penso se telefonare a qualche parente o andare in albergo per passare la notte, ecco accadere una cosa impensabile in qualsiasi altro angolo del pianeta, un vero miracolo napoletano. L'aliscafo rallenta, si ferma, fa una leggera retromarcia, ruota su sé stesso, e lentamente si riavvicina al pontile. Dal nulla appaiono due ormeggiatori che con pochi movimenti riattaccano la passerella e mi spingono letteralmente sull'aliscafo. Dieci secondi e stiamo ripartendo. Ce l'ho fatta.
Vado sul ponte di comando per fare il biglietto, e soprattutto per ringraziare il comandante.
Un uomo di mezza età, dal viso abbronzato da anni passati in mare, e dall'espressione simpatica e aperta.
"Comandante, non so davvero come ringraziarla..."
"Ma si immagini, poi in questa stagione queste cose si possono fare..."
Mentre gli porgo i soldi del biglietto, mi guarda, e con un sorriso mi dice: "Ma voi non siete napoletano..."